Il blocco delle emozioni è anche culturale

Il blocco delle emozioni è anche culturale

infoLa tradizione culturale ha tramandato lo stereotipo della figura maschile come colui che non mostra emozioni come la tristezza, la paura o il pianto poiché indicherebbe una fragilità che è ben lontana dalla virilità, che invece bisognerebbe manifestare attraverso la rabbia e l’aggressività. Il contrario per lo stereotipo femminile mite e pacata, alla quale è consentito esprimere le proprie emozioni tramite il pianto, è no attraverso la rabbia e l’aggressività. I genitori di oggi sono i bambini di ieri, cresciuti seguendo questi criteri che non davano alle diverse emozioni il giusto valore e riconoscimento.

Bisogna tenere presente che per il bambino il genitore rappresenta il modello fondamentale e il punto di riferimento, dal quale apprendere le modalità di comportamento e reazione nelle diverse situazioni, e da cui impara perciò anche come riconoscere, esprimere, comprendere e gestire le emozioni. Per un bambino, vivere in un ambiente che non dia il giusto riconoscimento e valore a tutte le emozioni è controproducente ai fini del suo sviluppo emotivo.

Se i genitori sono portai a reprimere le emozioni che ritengono negative, non parlandone o manifestandole solo attraverso comportamenti aggressivi, i figli non impareranno a loro volta a esprimerle in modo adeguato, bloccandole e reprimendole, oppure manifestandole in modo distruttivo e violento. Se invece il bambino cresce in un ambiente dove gli adulti di riferimento esprimono in modo calmo ed equilibrato tutte le emozioni, siano esse positive o negative, imparerà poco a poco a esprimerle a sua volta in modo adeguato, e anche a gestirle.

Spesso succede che per aiutare un figlio ad affrontare un evento che gli suscita tensione, si tende a minimizzare il problema, per esempio esortando con frasi tipo “a tutto c’è rimedio” attribuendo in questo poca importanza al problema. Molto frequente il comportamento contrario, ovvero la reazione intollerante alle emozioni del piccolo etichettate come “troppo intense”.

In entrambi i casi questi atteggiamenti sarebbero da evitare, perché il bambino percepirà il messaggio che quelle particolari emozioni non sono ben viste dalle persone che più ama, e a poco a poco tenderà a non esprimerle più, a reprimerle e nasconderle dentro di sé, impedendo così che possano essere comprese, elaborate e gestite. Una situazione che, alla lunga, può portare il bambino a soffrire a causa della tensione emotiva interna, che da solo non riesce a gestire e nemmeno a esprimere.

Un genitore sta male nel vedere il figlio sofferente e non capire cosa fare per aiutarlo, nello stesso modo il bambino sta male nel non riconoscere quello che sta provando soprattutto quando non si sente compreso dalle figure di riferimento. Per questo motivo è fondamentale fare in modo che la comunicazione emotiva tra genitori e figli non venga mai interrotta.

Loredana Colitti


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